Impresa
&Stato n°44-45
CRIMINALITA'
ECONOMICA
di
Federico Lasco
Come il criminologo americano
Edwin Sutherland indicava già nel 1940, la divisione del lavoro
scientifico ha tradizionalmente emarginato la criminalità economica
come oggetto di analisi: "Gli economisti sono esperti nelle questioni concernenti
gli affari, ma non sono abituati a considerarle dal punto di vista della
rilevanza penale, d’altra parte la maggior parte dei sociologi prende in
considerazione la criminalità, ma non quella che è propria
del mondo economico." Al contempo però, l’oggetto trascurato si
presenta per sua natura ambiguo sotto molteplici profili (Nelken 1994).
1) Il confine tra legalità
e illegalità è in genere per tali condotte marcato in misura
incerta. I comportamenti di criminalità economica non sono codificati
come criminali in maniera omogenea tra i sistemi giudiziari, che spesso
delegano la loro sanzione al diritto civile o amministrativo (come ad es.
per l’abuso di posizione dominante, o l’uso ingannevole della pubblicità).
Inoltre nel caso in cui le condotte siano sanzionate penalmente, si registra
una scollatura tra la previsione di illiceità del codice e una diffusa
accettazione dei comportamenti illeciti in ampi strati del contesto sociale
(la corruzione prima di "Mani Pulite" o l’evasione fiscale possono costituire
un esempio emblematico).
2) Le condotte di criminalità
economica (come ad es. le truffe) devono spesso assumere, per avere successo,
l’apparenza di transazioni e di comportamenti legittimi (Nelken 1994).
In molti casi, quindi, per i crimini economici, viene a mancare del tutto
la consapevolezza che abbia avuto luogo il reato.
3) Vittime e rei nei contesti
di criminalità economica risultano generalmente più invisibili
che sulle scene di altri delitti (Ruggiero 1996). Le modalità dei
crimini economici (come per molte truffe) tendono a creare una separazione
di tempi e di luoghi, tra chi compie il crimine e chi ne subisce il danno.
Danno che spesso si materializza senza alcun esplicito collegamento all’azione
del criminale.
Per effetto dell’ambiguità
dell’oggetto e della sua marginalità nella divisione del lavoro
tra le scienze sociali, "non esiste una definizione generalmente accettata
di criminalità economica, né un distinto segmento di letteratura
teorica e pratica sulla criminalità economica" (Kitch 1983). Ciò
significa, in altri termini, che le definizioni disponibili concentrano
l’attenzione su specifici aspetti dei fenomeni considerati. A tre differenti
aspetti, i criminali, le loro finalità, le modalità di esecuzione
del crimine, possono essere ricondotte le tre principali tipologie di definizione,
elaborate in letteratura.
DEFINIZIONI DEL
CONCETTO
La prima concettualizzazione
dell’idea di criminalità economica, attribuita al criminologo americano
E.H. Sutherland, fa esplicito riferimento ai soggetti che commettono crimini
economici. Nella sintesi del pensiero di Sutherland, diffusasi in letteratura,
il crimine economico viene visto come "delinquenza delle classi superiori
o dei colletti bianchi, cioè di professionisti rispettabili o almeno
rispettati ..." (Sutherland 1940). Il crimine economico o crimine imprenditoriale,
tra i differenti illeciti messi in atto dai colletti bianchi, si qualifica
quindi, in questa accezione, come un comportamento illecito adottato da
soggetti che operano internamente a una organizzazione legittima, tipicamente
un’impresa, in congruità con gli obbiettivi di questa (Schrager,
Short 1977).
Una seconda tipologia di
definizioni a cui spesso fanno riferimento esplicitamente o implicitamente
i manuali di criminologia di scuola americana, include sotto l’etichetta
di crimine economico qualunque reato compiuto con finalità di natura
economica, spostando il baricentro dell’analisi dagli attori criminali
alle loro funzioni obiettivo. Ne risulta un allargamento del contenuto
della definizione potenzialmente a qualunque tipologia di crimine. Ma al
contempo si delinea un rimando, per quanto implicito, all’idea di criminale
razionale (Becker 1968), che alloca le sue risorse tra attività
lecite ed illecite massimizzando il profitto derivante dalle une e dalle
altre, dati i costi e i rischi dovuti all’attività delle agenzie
anti-crimine.
Un’ulteriore tipologia di
definizioni rimanda, infine, alle modalità di esecuzione dei crimini
economici: comportamenti illeciti che presentano significative analogie
gestionali con attività economiche normali e del tutto lecite (Kitch
1983). Questa definizione si articola tipicamente in tre differenti categorie
di illeciti:
1) quelli commessi come
attività ancillari ai business legali, sfruttando le opportunità
illegali che si aprono nel mondo degli affari;
2) quelli associati alla
gestione con strumenti illeciti dell’offerta di beni e servizi leciti;
3) quelli, infine, tipici
della gestione (ovviamente illecita) di beni e servizi, essi stessi illeciti.
Tutte le definizioni, riconducibili
alle precedenti tipologie, per quanto possano essere utili per specifici
obiettivi, lasciano insoddisfatti se considerate singolarmente, ma contribuiscono,
nel loro insieme, ad evidenziare gli elementi da combinare per la costruzione
di un concetto soddisfacente di criminalità economica: la rispettabilità
dei rei, la loro tipica finalità di arricchimento, la modalità
"imprenditoriale" dell’azione criminale. Resta vero tuttavia che una semplice
giustapposizione dei tre elementi lascerebbe insoddisfatti ad un attenta
analisi. La rispettabilità non sempre è ex-ante una caratteristica
del reo, ma può divenirlo a seguito del successo ottenuto nella
professione di criminale economico. La finalità di arricchimento
può combinarsi ad obiettivi di acquisizione di potere o di rispettabilità,
e manifestarsi, non rispetto ad un singolo comportamento criminale, ma
ad un insieme concatenato di reati. La modalità "imprenditoriale",
può a volte concretizzarsi nell’utilizzo di un’impresa formalmente
legittima per la commissione del reato, come invece può manifestarsi
nella stabile organizzazione razionale del lavoro di un gruppo di individui
per la conduzione di un’attività criminale, senza per questo assumere
la natura formale di impresa. Ancora, un reato può essere commesso
usufruendo di strumenti resi disponibili dal ruolo che il criminale ricopre
all’interno di un’impresa legittima, oppure organizzando parallelamente
una forma di divisione del lavoro tra individui, che, seppure di natura
imprenditoriale, nulla ha a che fare con l’impresa in cui il criminale
(eventualmente assieme ai suoi soci) opera.
Il problema centrale per
la costruzione di una definizione di criminalità economica è
quindi quello di trovare una strada per "articolare" la complessità
delle numerose possibili combinazioni delle diverse qualificazioni relative
alle tre componenti: rispettabilità degli autori dei reati, ruolo
della finalità economica dei crimini, significato della natura "imprenditoriale"
della modalità di attuazione del crimine.
TECNOLOGIE LEGALI
E ILLEGALI
Per districarsi in questa
fitta rete di possibilità può essere utile utilizzare il
concetto di "tecnologia", preso in prestito dalla teoria economica, nel
suo significato più generale e astratto di capacità di combinare
fattori produttivi (lavoro, capitale, conoscenza, etc.) al fine di realizzare
un determinato obiettivo. Distinguendo tra tecnologie legali e tecnologie
illegali, sulla base della ammissibilità o meno negli ordinamenti
delle modalità con cui vengono combinati i fattori produttivi, la
criminalità economica può essere individuata come l’insieme
di attività economiche che vengono gestite utilizzando tecnologie
illecite.
Tale definizione, pur astraendo
direttamente dai tre elementi individuati nelle definizioni tradizionali,
consente di recuperarli in seconda battuta in un quadro più articolato
di relazioni tra essi. In quanto il successo nell’attività economica
è, nelle società moderne, associato ai percorsi di promozione
sociale, allora la rispettabilità del criminale economico sarà
un corollario della sua capacità di utilizzare la tecnologia illegale
per gestire la sua attività economica. La finalità del profitto
non è attribuibile direttamente ad ogni singolo atto criminale,
ma è connessa alla gestione con tecnologia illegale dell’attività
economica nel suo complesso. L’assonanza concettuale tra crimini economici
e gestione delle attività economiche è fondata sulla considerazione
del crimine come tecnologia di assemblaggio dei fattori di produzione.
In tal senso la forma imprenditoriale, nel suo connotato legale, può
essere, ma non lo è necessariamente, uno strumento di gestione.
Il riferimento alla criminalità
come "tecnologia" non è utile unicamente per ricomporre i pezzi
del puzzle delle definizioni tradizionali di criminalità economica.
Essa infatti offre al contempo l’opportunità di riportare ad unico
denominatore una serie di elementi emersi dalla ricerca e dall’attività
investigativa nel corso degli ultimi vent’anni e altri che invece sono
nell’agenda dell’analisi della criminalità per gli anni a venire.
La gestione criminale del
fattore lavoro ha assunto un’importanza sempre più determinante
sia per gli equilibri dei mercati illegali, come quello della prostituzione
o del traffico di stupefacenti, che per l’evoluzione di segmenti di mercato
legale totalmente o parzialmente sommersi. La gestione criminale della
manodopera ha superato negli ultimi anni la dimensione strettamente locale
e nazionale, per assumere una scala transnazionale, sviluppando legami
sempre più stretti con il traffico internazionale di migranti (Savona,
Lasco, Di Nicola, Zoffi 1997).
Nel management del fattore
capitale, la rilevanza delle tecnologie illegali di gestione è cresciuta
di pari passo con lo sviluppo dei processi di globalizzazione e con il
diffondersi del loro impatto a livello locale. L’evoluzione del riciclaggio
internazionale evidenzia sempre più come tale fenomeno non risponda
unicamente alla logica di copertura dell’origine illecita dei flussi finanziari,
ma risulti governato dalla dinamica dei rendimenti e della rischiosità
dei diversi impieghi. Come le tecnologie lecite di gestione, anche quelle
illecite determinano cambiamenti e mutamenti dei flussi internazionali
in risposta alle variazioni delle politiche di repressione e controllo,
che ne alterano le convenienze relative (Savona, De Feo 1997).
Anche sul piano delle strategie
competitive, le tecnologie illegali si caratterizzano come un’alternativa
al management con strumenti leciti della concorrenza di mercato. L’uso
della violenza criminale costituisce lo strumento concorrenziale estremo,
per la possibilità che offre, a chi ne fa uso, di competere con
i concorrenti sulla definizione stessa dei diritti di proprietà
sulle risorse e sui prodotti oggetto dell’attività economica (Lasco
1997). Ma anche frodi (Levi 1981), contraffazione di marchi, corruzione
(Van Duyne 1997) costituiscono elementi di uno strumentario competitivo
criminale, la cui funzionalità può emergere nello svolgimento
di attività economiche sia illecite che invece perfettamente legali,
almeno sotto il profilo formale. Le frodi possono assumere un ruolo importante
anche nella gestione dei rapporti con fornitori e clienti, costituendo
un elemento rilevante del meccanismo di regolazione dei legami verticali
tra i settori industriali.
CRIMINALITA' ECONOMICA
E ORGANIZZATA
Analizzare i crimini economici
come attività economiche gestite utilizzando tecnologie illecite
mette inoltre a disposizione dell’analista un equipaggiamento concettuale
indispensabile per far luce su due fenomeni emergenti sullo scenario della
criminalità economica: la progressiva sovrapposizione tra criminalità
organizzata e criminalità economica (Savona, Lasco, Di Nicola, Zoffi
1997), da un lato, e lo sviluppo di crescenti interdipendenze tra i principali
reati economici (Savona 1997b), dall’altro.
Le organizzazioni criminali
convenzionali, tradizionalmente dedite allo sfruttamento criminale del
territorio in cui sono localizzate (tramite l’estorsione generalizzata,
il controllo degli appalti pubblici e dei mercati illegali locali) o al
traffico di stupefacenti, si muovono verso nuovi business tipici della
criminalità economica (frodi, contraffazione, ecc.), tanto più
che le "tecnologie illegali", su cui è costituita la loro attività
tradizionale (violenza e corruzione), divengono strumenti utili a ridurre
i costi di gestione di tali nuovi business e per competere con gli altri
concorrenti illegali. Specularmente, le nuove opportunità per i
criminali economici tradizionali, caratterizzate da una più ampia
dimensione geografica delle attività (si pensi alle frodi internazionali
o a quelle contro gli interessi della Comunità Europea) e da una
maggiore complessità delle procedure necessarie, rendono indispensabile,
per un loro efficace sfruttamento, che si possa contare su strutture criminali
organizzate in grado di operare su scala transnazionale.
Similmente, l’accresciuta
complessità delle opportunità di affari per la criminalità
economica rende necessario gestire concatenazioni anche complesse di differenti
condotte illecite, nelle quali la frode, la corruzione, il riciclaggio
e la violenza costituiscono tasselli indispensabili per il successo dell’intera
attività. La combinazione di tali condotte illegali interdipendenti
può assumere la forma di transazioni tra differenti soggetti criminali,
generando veri e propri mercati di servizi illegali, oppure può
materializzarsi in accordi di cooperazione tra differenti soggetti criminali
più o meno stabili ed efficaci, ovvero ancora può portare
alla creazione di strutture organizzate in grado di governare al proprio
interno le differenti fasi dell’attività illecita.
Considerare la criminalità
economica utilizzando il concetto di "tecnologia" illegale per la gestione
delle attività economiche, sollecita, rispetto all’analisi dei due
trend descritti sopra, due quesiti strettamente connessi tra loro.
In quali condizioni la "tecnologia"
illegale richiede organizzazione per essere attivata efficientemente, ovvero
in quali condizioni richiede una divisione del lavoro criminale? Quali
legami esistono tra differenti "tecnologie" illegali (la frode, la corruzione,
la violenza, etc.) e a quali condizioni tali legami si manifestano all’interno
di una stessa struttura organizzata, ovvero assumono la forma di transazioni
tra strutture differenti?
La teoria economica dell’organizzazione
industriale ha costruito strumenti analitici per rispondere a domande simili
in relazione a tecnologie lecite, ma tali strumenti, se opportunamente
riconsiderati (Fiorentini, Peltzman 1995) possono fornire elementi di riflessione
utili per analizzare le "tecnologie illegali".
La nuova agenda per la ricerca
in tema di criminalità economica è ancora tutta da scrivere
e richiede che gli economisti si abituino a considerare gli affari anche
dal punto di vista della rilevanza penale, e che i sociologi e i criminologi
prendano sempre più in considerazione la criminalità propria
del mondo economico. Fare tesoro di quanto detto da Sutherland è,
oggi più che mai, una via obbligata!
BIBLIOGRAFIA
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