Impresa &Stato n°39
FEDERALISMO
di Raimondo Fassa
Il "federalismo" si
riferisce a due significati diversi a seconda che lo si intenda a) come
"tecnica" e b) come "valore". Vediamoli partitamente:
a) federalismo come "tecnica".
E' la nozione di "federalismo" tutto sommato più seria,
anche perché " l'unica suscettibile di dar forma ad un progetto
istituzionale coerente e preciso, rispetto al quale le altre accezioni
che verremo via via esaminando per larga parte si presentano come derivazioni
e/o deviazioni dal modello "puro".
In tale ottica, per "federalismo" si intende un particolare tipo di
ripartizione delle competenze fra singoliStati - ciascuno col suo ordinamento,
il suo popolo, il suo territorio - e Stato federale nel suo complesso,
dal separato ordinamento, e il cui popolo e il cui territorio sono dati
dalla somma di quelli degli Stati che lo compongono.Allo Stato federale
appartengono alcune competenze, enunciate dalla Costituzione federale -
di regola simbolicamente rappresentate dalla spada (la difesa), dalla bilancia
(la giustizia), dalla bandiera (la politica estera) e dalla moneta (la
politica economica generale) - e solo quelle.Tutte le altre appartengono,
residualmente, ai singoli Stati. Tale sommaria definizione ci consente
inoltre di capire perché il federalismo così inteso significhi
tutt'altra cosa rispetto alle nozioni, tipiche ed esclusive del diritto
interno, di "autonomia" e di "decentramento". Per "autonomia" si intende,
infatti, la possibilità in vario grado accordata dall'ordinamento
giuridico ai soggetti, pubblici o privati, di determinare discrezionalmente
se, quando, perché e come determinare i propri interessi.
Si tratta, insomma, d'una sorta di "funzione regolatrice interna" dell'ordinamento
giuridico, tale da porre i soggetti in grado di adattare la propria azione
alle diverse circostanze di tempo e di luogo che via via si presentano
in concreto.Tutti gli ordinamenti federalisti sono, pertanto, anche utonomisti,
ma non " vera la reciproca, ovvero che il criterio dell'autonomismo dia
di per sé luogo
al federalismo: l'autodeterminazione nel perseguimento dell'interesse
non comporta di necessità, infatti, una rigida ripartizione delle
competenze fra i soggetti che di tale facoltà sono titolari. Il
decentramento " poi addirittura, almeno in linea di principio, l'antitesi
del federalismo. Con tale termine si intende la possibilità dall'ordinamento
accordata alloStato centrale di istituire suoi organi periferici per meglio
servire il territorio. Il concetto di decentramento presuppone l'esistenza
di un "centro" forte, di cui le realtà locali costituiscono la pura
e semplice emanazione. Parimenti, il federalismo come tecnica di governo
non " affatto incompatibile col presidenzialismo.
Organi che, come quelli dello Stato federale e dei singoli Stati in
esso federati, sono forniti di esclusive competenze, necessariamente devono
essere forti, e perciò di solito implicanti almeno un premier fornito
d'una forte legittimazione e quindi eletto direttamente dal popolo. Né
si deve con ciò temere che un simile assetto sia (come affermano
i suoi detrattori) antidemocratico"."Democrazia" significa infatti costituire
dei poteri davvero idonei a perseguire l'interesse generale delle comunità,
periodicamente sottoposti al giudizio dell'elettorato, e non dei poteri
(com'" tipico, invece, dei regimi "parlamentari integrali"). Ciò
significa che il federalismo inteso come "tecnica di governo" produce un'ideologia
formale, e non sostanziale. Il federalismo così concepito, insomma,
" compatibile con una pluralità di intuizioni della vita e della
società.
Il federalismo, inoltre, " un'ideologia politica imparziale, suscettibile
cio" di legittimare concreti assetti della società anche molto diversi
fra loro.
b) Federalismo come "valore".
E' il significato a cui più di frequente fa ricorso il
politico attivo.In tale accezione, il federalismo " l'obiettivo politico,
di regola contrapposto ad un non meglio specificato "centralismo".
Naturalmente tale accezione "valoriale"
di federalismo può essere accettata anche dai suoi avversari,
i quali le addebitano ogni sorta di inconvenienti politici.Inteso come
valore negativo, il federalismo allora "mina l'unità dello Stato,
"" il primo passo verso la secessione", "ignora le esigenze della solidarietà",
ecc.
In ogni caso, quando in politica il concetto di federalismo viene usato
prevalentemente come valore assoluto, positivo o negativo che sia, meno
" preciso, meglio ".Difatti ciò consente di caricarlo di (ogni possibile)
significato; chi fa cavallo di battaglia della sua politica la nozione
"valoriale" di federalismo o si guarderà bene dal definirlo, o lo
userà indifferentemente come sinonimo di "autonomia", di "decentramento",
di "indipendentismo", di "secessionismo".
DERIVAZIONI E DEVIAZIONI
Quanto sin qui detto ci aiuta a comprendere un singolare cammino concettuale.
Possiamo individuare almeno sette accezioni del termine, che qui
di seguito elenco:
a) federalismo "orizzontale"
Consiste in una sorta di estremizzazione della sua nozione "tecnica".
Mentre la nozione "classica" di federalismo prevede due soli livelli
di potere sovrano, quest'ultima comporta una più vasta pluralità
di livelli di potere territorialmente articolati: in tale ottica godono
di pari dignità i Comuni, le Province, le Regioni, le Macroregioni
e loStato.
Ben difficilmente un simile assetto si adatta alle esigenze finanziarie
del modernoStato sociale e, in effetti, la lotta contro quest'ultimo si
accompagna di regola a tale tipo di federalismo.
Da qui anche l'accento posta da tale dottrina sulle comunità
territoriali di base "più vicine al cittadino" che in tale ottica
diventano la sintesi politica primaria;
b) federalismo "verticale".
E', anche questa, un'estremizzazione della versione "tecnica"
di federalismo, che
a volta si combina con la precedente.
Oltre alle comunità territoriali, vengono in tale ottica presentati
come soggetti politici primari anche i cosiddetti "corpi" sociali: associazioni,
ordini professionali, comunità di lavoratori o di utenti. I fautori
di tale tipo di federalismo non nascondono infatti di avere una concezione
non territoriale, ma culturale dell'ambito del diritto.
In tale ottica il modello federale appare addirittura alternativo a
quello statuale.Federale " quell'ordinamento, allora, che riconosce (e,
pertanto, garantisce) i diritti dell'uomo, non solo come singolo, ma anche
nelle formazioni sociali dove si svolge la sua personalità.In tale
ottica,Stato federale e Stati federati non possiedono ordinamenti giuridici
originari.Essi trovano il proprio fondamento in un ordine più ampio
che ambedue li ricomprende: la Costituzione non " più dunque la
legge suprema delloStato. In questo senso il federalismo " antistatalista
ben più di quanto non abbiano a pensare i nostri critici nostrani.La
funzione dello Stato viene in tal caso davvero a ridursi ai suoi minimi
termini.
Il federalista "verticale" ha in mente una società integralmente
autoregolata in cui quelle che con significativa metafora spaziale vengono
dette le società "intermedie" gestiscono larga parte delle funzioni
oggi tradizionalmente attribuite alloStato.
Tale riscoperta, lungi dal ridursi ad un fenomeno di archeologia istituzionale,
sembra invece rispondere ad un profondo bisogno della società contemporanea:
quello di dare dignità politica, e quindi adeguato riconoscimento
istituzionale, a quegli interessi organizzati che, considerati dal modello
di Stato liberale classico ottocentesco come puramente privati (e come
tali relegati nell'ambito dell'apolitica società civile), sono nel
nostro secolo venuti sempre più acquistando un'autentica dimensione
pubblica. Anzi, tale concezione "estrema" di federalismo sembra costituire
il momento terminale d'un percorso tramite il quale variamente s'" tentato,
nel corso del nostro secolo, di "incorporare" nella forma-Stato fasci di
interesse fra loro sempre più fortemente "accorpati".Si direbbe
quasi che - di fronte al fallimento storico di dottrine che (come il corporativismo
fascista) tentavano di fare delle corporazioni l'ossatura stessa dello
Stato - qui invece si finisce col rinunziare in toto a quest'ultimo, pur
salvandone, in un certo qual modo, l'impalpabile essenza, quella che alcuni
autori chiamano, con ambiguo neologismo, la "statualità" (non si
sa bene in che cosa distinta dalla pura e semplice "politicità").
Né al lettore più avveduto può sfuggire che, da
teoria delloStato, il federalismo vien così tramutandosi in vera
e propria teoria generale della società.Una società fortemente
pluralistica, e come tale imperniata su un'estrema "mobilità" dell'obbligazione
politica;
c) federalismo "di esecuzione"
E' l'ipotesi che si verifica quando il modello "tecnico" si attua
non nella sua forma pura - quella cioé di una rigida separazione
delle attribuzioni - ma in una attenuata,
in virtù della quale l'ente locale, in genere identificato con
la "Regione", viene chiamato ad esercitare funzioni non proprie, ma ad
esso, come suol dirsi impropriamente, "delegate" DalloStato, ed a sua volta
"delega" queste ultime, o le proprie, alla Provincia e alComune.
Si tratta d'una forma di federalismo improprio, che in pratica di regola
produce significativi gap di autonomia ed inevitabili confusioni, derivanti
dalla sovrapposizione di competenze a cui
" solita dare luogo (data anche la difficoltà con cui il personale
amministrativo-burocratico si adatta alla nuova situazione): l'esatto contrario,
insomma, di ciò che col federalismo si vorrebbe di solito ottenere;
d) federalismo "di direzione".
E' anch'esso una forma attenuata di federalsimo, che sovente
si coniuga con la precedente. Se ne differenzia a volta solo in un punto:
che, cio", " più rispettosa delle autonomie locali, dal momento
che, una volta stabiliti i principi fondamentali da parte del soggetto
istituzionalmente superiore, queste ultime sono lasciate libere di darle
l'attuazione che vogliono. Si ha un'esempio di tale modulazione di federalismo
nel modo con cui l'Unione Europea si rapporta agliStati membri, soprattutto
con quel suo particolare atto normativo che " la direttiva.Quest'ultima
contiene norme generali ed astratte applicabili però - salvo rare
accezioni - non direttamente ai singoli individui (come avviene invece
per i regolamenti), ma agli Stati, i quali han però l'obbligo di
uniformarvisi, ciascuno nel modo che ritiene più opportuno. Nel
caso dell'Unione Europea, ciò " particolarmente giustificabile,
poiché tale istituzione sembra esprimere bene una delle tipiche
"situazioni di stallo" a cui una dottrina vagamente richiamantesi al federalismo
può fornire un idoneo sostegno normativo. Quel tanto di federalismo
"di direzione" che indubbiamente " presente nelle strutture dell'Unione
Europea, serve in realtà molto più a preservare che a dirigere.
Serve, cio", come strumento di codificazione dei rapporti di forza esistenti
ben più che come fattore dinamico del mutamento.Com'" provato, fra
l'altro, da quella vera e propria architrave degli accordi di Maastricht
che " il tanto sbandierato "principio di sussidiarietà" (non a caso
mutuato dalla dottrina sociale della Chiesa), la cui formula ordinariamente
divulgata "non facciamo gliStati o le comunità locali quanto " proprio
dell'Unione" viene spesso usualmente e legittimamente rovesciata nella
contraria "non faccia l'Unione quanto " proprio degli Stati o della comunità
locali".
Il principio di sussidiarietà ", del resto, la vera e propria
antitesi del federalismo.Quest'ultimo, tecnicamente inteso, stabilisce
infatti delle ripartizioni di competenza fra Stato federale e Stati federali
nette, precise, e soprattutto giuridicamente determinabili in base ad elementi
puramente e semplicemente normativi. Il principio di sussidiarietà
pone invece fra le competenze dell'Unione e delle altre entità territoriali
una sorta di "limite mobile", espandibile o contraibile sulla base di criteri
fattuali assai più che giuridici. L'aver fissato un simile
principio, capace di giustificare tutti e tutto, si ricollega ad un altro
non marginale aspetto del tentativo di procedere all'unificazione dell'Europa,
che consiste nell'intento di uniformare il più possibile legislazione
ed amministrazione.Così si lavora per un "codice europeo dell'ambiente",
per un "società per azioni europea", e via dicendo.La tendenza "
pertanto quella di cercare di ridurre al minimo possibile obiettive differenze
fra gli Stati che son venute creandosi con un processo addirittura secolare.
Negli Stati davvero federali, invece, si tende a salvaguardare il più
possibile le differenze fra le diverse aree territoriali, e a ciò
si cerca di pervenire, appunto, lasciando il minor numero di competenze
possibile allo Stato centrale;
e) federalismo "unificante".
E' quel tipo di federalismo a cui si fa ricorso affermando che,
per suo tramite, si intende preservare un'unità dello Stato compromettibile
da altrimenti non controllabili vicende storiche.
Chi ragiona in tale ottica, di regola dà vita ad uno Stato federale
accentrato e accentratore ben più di quello cosiddetto "centralista"
(al quale pure ideologicamente si contrappone).E ciò per l'evidente
ragione che unoStato centralista, proprio perché tale, " tendenzialmente
costretto a decentrare, mentre uno federale, le cui attribuzioni sono già
rigidamente separate da quelle degli Stati componenti, a questo " assai
meno tenuto.Se poi si tiene conto del fatto che, nella versione "unificante"
del federalismo, tale distribuzione delle competenze viene giustificata
con la necessità di preservare l'unità della compagine politica,
non deve stupire che l'evoluzione storica degli Stati federali sia sempre
andata nella direzione d'una sempre più accentuata centralizzazione,
accompagnata da una progressiva accumulazione delle competenze in campo
alla struttura federale.
f) federalismo "dividente"
Ma non può neppure passarsi sotto silenzio che il concetto di
federalismo viene sovente usato in politica come alternativa, non del tutto
desiderabile, ad una in realtà auspicata secessione.
Le recenti vicende della politica europea hanno sin troppo bene dimostrato
come le tendenze alla divisione in Stati sempre più piccoli siano
più forti che mai. Oggi si parla tanto di una unità europea,
ma chi confrontasse la geografia politica dell'Europa attuale con quella
antecedente alla prima guerra mondiale, troverebbe molti più Stati
oggi di allora. Quelle tendenze separatistiche che con tanta evidenza hanno
manifestato la loro forza nei territori dell'ex Jugoslavia o dell'ex Cecoslovacchia
sono presenti, in forma più latente ma non per questo meno radicata,
anche in Stati di più solida e antica tradizione. Ecco allora che
tali tendenze, potenzialmente eversive, vengono mitigate proprio grazie
all'ambiguo concetto di federalismo, che può anche diventare lo
strumento per una loro legittimazione.Al proprio elettorato sinceramente
separatista il partito "federalista" potrà dare ad intendere che,
per ora, " possibile solo il federalismo, del quale per il momento ci si
deve accontentare. Alle autorità costituite , espressione dei partiti
tradizionali a cui si contrappone (ma con i quali ci si potrebbe anche
alleare), si può fare capire che ci si " affermati separatisti solo
per meglio realizzare il federalismo;
g) federalismo "fiscale".
Tale termine, da qualche anno entrato nel dibattito politico italiano
ordinario, sta ad indicare una generale riforma del sistema tributario
nazionale, imperniata su tre fondamentali obiettivi:
- una più razionale individuazione delle fonti del gettito fiscale,
ottenuta sopratutto con una drastica riduzione del loro numero;
- un definitivo superamento del principio della cosiddetta "finanza
derivata", in virtù del quale la maggior parte dei tributi viene
pagata allo Stato, il quale poi si incarica di ridistribuire il ricavato
agli enti locali;
- un collegamento fra soggetto responsabile politicamente e soggetto
percettore delle imposte: se, per esempio, il Sindaco viene eletto direttamente
dal popolo d'una città, " giusto che egli ricavi da quest'ultimo
le risorse necessarie al funzionamento della macchina amministrativa, e
che a quest'ultimo ne risponda. In realtà, tale riforma del sistema
tributario ha in s" ben poco di federalista in senso stretto.O, per meglio
dire, ben si accompagna ad una struttura federale delloStato, ma può
anche convivere con una centralizzata. é stato dunque denominato
"federalismo fiscale" solo per la suggestione che la parola oggi esercita:
oggi insomma, crocianamente, "non possiamo non dirci federalisti".
FEDERALISMO E CRISI DELLO STATO MODERNO
Il federalismo prevalentemente appare come un'ideologia antistatalista,
e tale aspetto viene il più delle volte sottolineato tanto
dai suoi fautori quanto dai suoi detrattori.Ma, a ben guardare, tale carattere
antistatuale " molto più apparente che reale e sembra invece rispondere
ad un estremo tentativo di salvare l'essenza delloStato pure nel disgregarsi
della sua forma esteriore. Così, inteso come valore, il federalismo
pone l'accento sull'impossibilità che la società complessa
sia oggi governata secondo regole uniformi, quali son quelle derivanti
da una legislazione e da un'amministrazione centralizzate.Inteso in senso
orizzontale e fiscale, evidenzia l'esigenza, socialmente oggigiorno assai
diffusa, che il danaro pubblico venga più strettamente controllato
dai soggetti passivi dell'imposta.Inteso in senso verticale, non può
non comportare la presa d'atto dell'ormai acquisita valenza politica delle
società intermedie. Inteso in senso di direzione, illumina il bisogno
di un governo dell'economia che vada al di là dell'acriticamente
accettata identificazione diStato e mercato. Inteso, infine, in senso tanto
di unificazione quanto di disgregazione, rivela il pericolo di quanto può
accadere se non si pone rimedio agli inconvenienti sopra menzionati - ossia
la perdita dell'unità nazionale tramite una lunga fase di "balcanizzazione"
- ed il tipo d'unità residuale che si otterrebbe qualora a quegli
inconvenienti si ponesse rimedio.
Il federalismo appare come la dottrina che meglio di ogni altra pare
idonea a dar ragione, pur senza rinunziarvi completamente, alla crisi di
due altre strutture politiche fondamentali per i capitalismi democratici
del secondo dopoguerra: il partito "pesante" e lo Stato "sociale". Si tratta,
a ben guardare, di sue strutture fra loro complementari: loStato sociale,
infatti, impone una sorta di "amministrativizzazione" della società,
la quale a propria volta comporta una progressiva dilatazione delle funzioni
pubbliche, inevitabilmente accompagnata da un allargamento del personale
politico-amministrativo.Fondamentale tramite di selezione di tale personale
(questo il vero significato della sua definizione come "strumento di raccordo
tra Stato e Società") ", appunto, il partito "pesante", strutturalmente
costituito da permanenti "percettori di rendita" e "cercatori di protezione"
politica. Anche in questo caso, la necessità di ripristinare la
statualità impone la costruzione di uno Stato "minimo" (e quindi,
contrariamente a quanto comunemente si ritiene, forte) oggi disponibile
addirittura in due versioni, non necessariamente alternative fra loro:
quella neoliberista (sintetizzabile nella formula "meno Stato, più
mercato", ma che in realtà considera quest'ultimo il vero Stato,
poiché ai suoi meccanismi autoregolativi integralmente si affida)
e, appunto, quella federalista la quale, con la sua accentuazione dei temi
dell'autonomia e dell'autogoverno, sembra più permeabile a quelle
istanze di giustizia sociale che nessuno espressamente ammette di volere
abbandonare. Non solo, ma assai meglio del neoliberismo il federalismo
sembra adattarsi ai compiti che, potenzialmente, loStato può essere
chiamato un giorno a riassumere. Non a caso, tali strutture statuali si
accompagnano al sorgere di nuovi tipi di partito, anch'essi non necessariamente
alternativi fra loro e accomunati dal loro carattere "leggero", ossia dall'assenza
di pletoriche burocrazie, aggregati su base o etnico-territoriale (prevalentemente
"federalisti" o addirittura "seccessionisti") o di interessi dei ceti "produttori"
(prevalentemente "neoliberisti"), spesso più forti in certe zone
dei Paesi interessati.
BIBLIOGRAFIA |
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B. Clavero, Diritto debole.Un manifesto moderatamente federale, filosofia
politica, 1994.
L. Ornaghi, Stato e corporazione.Storia di una dottrina nella crisi
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C.Grewe, H.Ruiz Fabri, Droits costitutionnels européens, paris
1995
A. Hamilton, J.Jav Madison, Il federalista, Bologna 1990
G.Tremonti, G.Vitaletti, La fiera delle tasse, Bologna 1991 e Il federalismofiscale,
Bari 1994
AAVV; Nazioni senza ricchezza.Ricchezza senza nazioni, Bologna 1993
J.Agnoli, La statizzazione del sociale, Fenomenologia e società,
1982
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