L'economista che analizza la nuova legge anti-usura - pur apprezzandone
lo spirito e avendo da sempre auspicato una azione incisiva volta
ad arginare le patologie del credito - non può nascondere
un giudizio globalmente negativo circa l'approccio utilizzato.
Tale legge si fonda su due pilastri, che possono essere così
sintetizzati: 1) un contratto di credito è usuraio quando
a esso corrispondono interessi usurai; 2) sono usurai gli
interessi che eccedono la metà del tasso medio effettivo
bancario.
Proviamo a spiegare perché tale impianto definitorio del
contratto d'usura è illogico, e di riflesso potenzialmente
inefficace nella lotta contro l'usura, iniquo per
la definizione dei contratti legali di credito, inefficiente
per il funzionamento dei mercati bancari, infine ambiguo
per le sue autentiche finalità.
Cosa distingue sul piano logico un contratto legale da un contratto
d'usura? Il contratto d'usura deve riflettere una situazione iniqua,
per cui occorre chiedersi quando due contraenti siglano un contratto
di credito iniquo.
Questo avviene quando c'è - dal lato della domanda
- un soggetto che è disposto a indebitarsi a condizioni
svantaggiose perché in stato di bisogno; ma il contratto
non si chiuderebbe se non ci fosse un altro soggetto - dal lato
dell'offerta - che approfitta di tale stato di bisogno.
Se perciò si verifica questa duplice specificità
sia dal lato del prenditore che da quello del datore di fondi,
avremo un contratto d'usura: una delle possibili conseguenze
di un contratto d'usura è un tasso di interesse finale
elevato. Per cui avremo in generale contratti d'usura: 1) quando
esiste il binomio bisogno-approfittamento; 2) tale binomio non
è detto che produca in ogni momento del contratto tassi
elevati; 3) tassi elevati non segnalano necessariamente un contratto
d'usura.
Allora è facile capire perché della legge si può
paventare l'illogicità: non ha senso in primo luogo
definire in termini generali il contratto d'usura cancellando
l'indispensabile binomio bisogno-approfittamento; in secondo luogo
si eleva ad elemento costitutivo del contratto d'usura una conseguenza
accessoria - il tasso di interesse - che invece potrebbe sì
essere - al limite - una condizione aggravante;
L'inefficacia deriva dal fatto che il mercato dell'usura (quello
vero) si alimenta grazie a soggetti in stato di bisogno che domandano
fondi a soggetti in grado di fornirli: è ragionevole credere
che bloccando in via amministrativa solo una delle possibili caratteristiche
di un contratto di credito (condizioni iniziali, caratteristiche
della garanzia, modalità di pagamento, meccanismi di rinegoziazione,
ecc...) si possa realmente ostacolare mercato? Ne dubitiamo, di
contro, gli improbabili guadagni in efficacia si accoppiano a
quasi certe perdite in termini di equità ed efficienza.
VIENE PREMIATO LO SCONSIDERATO
Vi è poi un profilo di iniquità: aver rovesciato
l'impianto definitorio del contratto d'usura aprirebbe potenzialmente
la porta a perniciose rivendicazioni e contenziosi su contratti
di credito legali che con l'usura - correttamente definita - non
hanno nulla a che fare. Proviamo a pensare a quanti casi di cattivi
imprenditori (effettivi e potenziali) o sconsiderati consumatori
(effettivi e potenziali), non in stato di bisogno, potrebbero
trovare protezione in una norma che si concentra erroneamente
su un solo aspetto del contratto, allargando il fenomeno (di cui
nessuno parla) della calunnia d'usura, diffuso almeno quanto
- per essere prudenti, in mancanza di dati sistematici - quello
della vera usura.
Vi è poi il rischio dell'inefficienza: un risultato oramai
scontato e acquisito dell'analisi economica è che imporre
vincoli amministrativi sul credito provoca l'inefficiente razionamento
dei soggetti marginali e più deboli (cioè proprio
quelli che costituiscono il bacino potenziale della domanda d'usura).
Gli effetti di razionamento (e quindi l'inefficienza potenziali)
saranno tanto più forti, tanto più stringenti saranno
i tetti ai tassi.
L'ambiguità riguarda gli stessi fini della legge. Se un
tale approccio alla lotta contro l'usura porta con se solo vantaggi
nulli e costi quasi certi, quale può essere la sua ragion
d'essere? Ne possiamo individuare due, entrambe eufemisticamente
riconducibili alla political economy di una legge incentrata
sui tetti ai tassi. In primo luogo, può essere stata una
risposta alla domanda di regolamentazione anti-usura, periodicamente
spinta dai fatti di cronaca, venendo però incontro alle
richieste più emotive, più irresponsabili e/o meno
informate. In secondo luogo può essere stata una risposta
di una più generale domanda di regolamentazione dei tassi
bancari, che sembra emergere sempre più di frequente nella
nostra classe politica.
Questa tendenza va contrasta con decisione: il nostro Paese sta
uscendo lentamente e faticosamente da un lungo periodo di lacci
e laccioli amministrativi sul credito, per recuperare i ritardi
di efficienza nella gestione del risparmio e del credito. La strada
della competitività non conosce per definizione scorciatoie
di tipo amministrativo e vincolistico; eppure si continuano a
osservare tentativi più o meno goffi - ma non per questo
meno perniciosi - di "calmierare" il mercato del credito.
Quindi la legge anti-usura licenziata dal passato Parlamento,
che, in quanto basata sull'(erronea) equazione tasso di interesse=contratto
d'usura, rischia di essere una brutta legge, soprattutto - ed
è paradossale - proprio a fini di prevenire e combattere
l'usura.
E' facile vedere come la politica di prevenzione può essere
vanificata: prevenire l'usura significa, a parità
di altre condizioni, rendere più ampi ed efficienti i bacini
del credito legale, in modo da rendere sempre minore la domanda
potenziale d'usura. Se si introduce una soglia d'usura per il
tasso, attraverso un meccanismo per cui tale soglia può
interessare le scelte delle banche, l'effetto più probabile
è un aumento dei soggetti potenziali a rischio d'usura.
REPRESSIONE: PIU' MERCATO PER L'USURAIO
Difatti le banche definiscono dei contratti di credito in cui,
a seconda delle caratteristiche del binomio cliente-progetto,
a condizioni più onerose dovrebbero corrispondere binomi
cliente-progetto più rischiosi. Se le banche funzionano
bene, imponendo una soglia al livello dell'interesse pattuibile,
i clienti più rischiosi subiranno una di queste - spiacevoli
ma inevitabili - reazioni da parte degli intermediari: rimanere
clienti bancari, ma con le altre condizioni del prestito (diverse
dal tasso di interesse) più onerose, per compensare la
rigidità del tasso; vedersi negare l'accesso al credito,
e andare appunto a rinfoltire le schiere dei possibili clienti
degli usurai.
Ma soprattutto se le banche non funzionano bene, introdurre una
ulteriore rigidità nel determinare una delle condizioni
del contratto, spinge gli intermediari a razionare i prenditori
ritenuti più inaffidabili (famiglie con reddito medio-basso,
piccole e medie imprese sottocapitalizzate, aziende operanti nelle
aree più depresse e nei settori più a rischio).
Vale a dire i tipici clienti degli usurai.
La politica di repressione non verrà migliorata:
chiunque siano i clienti effettivi degli usurai - provenienti
o meno dalla categoria sub a) dei razionati - essi hanno di fronte
dei datori di fondi il cui obiettivo e i cui metodi sono diversi
da quelli degli operatori bancari.
La loro finalità non è quella di disegnare un contratto
per assicurarsi il rientro della somma, ma mirano ad obiettivi
più ampi (la soggezione della vittima, la proprietà
e/o il controllo di beni - materiali o immateriali - posti a garanzia,
il riciclaggio) che possono conseguire con strumenti che solo
eufemisticamente possiamo definire metodi di escussione e di rinegoziazione
metaeconomici. Impedire l'esistenza e lo sviluppo di tali contratti
fissando un singolo elemento (il prezzo), è evidentemente
una pia illusione; purtroppo l'economia - la "scienza triste"
- dà poco spazio alle illusioni, che rischiano di durare
poco e di costare tanto (in questo caso in termini di efficacia
ed efficienza).
Ci auguriamo di cuore di sbagliare.