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Impresa & Stato n°33

"USURANOMICS"
QUESTA LEGGE NON FUNZIONERA'

La definizione del "contratto d'usura" potrebbe rendere inefficace la lotta contro l'usura.
Non servono altri lacci all'economia, ma un mercato del credito più efficiente

di
DONATO MASCIANDARO

L'economista che analizza la nuova legge anti-usura - pur apprezzandone lo spirito e avendo da sempre auspicato una azione incisiva volta ad arginare le patologie del credito - non può nascondere un giudizio globalmente negativo circa l'approccio utilizzato.
Tale legge si fonda su due pilastri, che possono essere così sintetizzati: 1) un contratto di credito è usuraio quando a esso corrispondono interessi usurai; 2) sono usurai gli interessi che eccedono la metà del tasso medio effettivo bancario.
Proviamo a spiegare perché tale impianto definitorio del contratto d'usura è illogico, e di riflesso potenzialmente inefficace nella lotta contro l'usura, iniquo per la definizione dei contratti legali di credito, inefficiente per il funzionamento dei mercati bancari, infine ambiguo per le sue autentiche finalità.
Cosa distingue sul piano logico un contratto legale da un contratto d'usura? Il contratto d'usura deve riflettere una situazione iniqua, per cui occorre chiedersi quando due contraenti siglano un contratto di credito iniquo.
Questo avviene quando c'è - dal lato della domanda - un soggetto che è disposto a indebitarsi a condizioni svantaggiose perché in stato di bisogno; ma il contratto non si chiuderebbe se non ci fosse un altro soggetto - dal lato dell'offerta - che approfitta di tale stato di bisogno. Se perciò si verifica questa duplice specificità sia dal lato del prenditore che da quello del datore di fondi, avremo un contratto d'usura: una delle possibili conseguenze di un contratto d'usura è un tasso di interesse finale elevato. Per cui avremo in generale contratti d'usura: 1) quando esiste il binomio bisogno-approfittamento; 2) tale binomio non è detto che produca in ogni momento del contratto tassi elevati; 3) tassi elevati non segnalano necessariamente un contratto d'usura.
Allora è facile capire perché della legge si può paventare l'illogicità: non ha senso in primo luogo definire in termini generali il contratto d'usura cancellando l'indispensabile binomio bisogno-approfittamento; in secondo luogo si eleva ad elemento costitutivo del contratto d'usura una conseguenza accessoria - il tasso di interesse - che invece potrebbe sì essere - al limite - una condizione aggravante;
L'inefficacia deriva dal fatto che il mercato dell'usura (quello vero) si alimenta grazie a soggetti in stato di bisogno che domandano fondi a soggetti in grado di fornirli: è ragionevole credere che bloccando in via amministrativa solo una delle possibili caratteristiche di un contratto di credito (condizioni iniziali, caratteristiche della garanzia, modalità di pagamento, meccanismi di rinegoziazione, ecc...) si possa realmente ostacolare mercato? Ne dubitiamo, di contro, gli improbabili guadagni in efficacia si accoppiano a quasi certe perdite in termini di equità ed efficienza.

VIENE PREMIATO LO SCONSIDERATO
Vi è poi un profilo di iniquità: aver rovesciato l'impianto definitorio del contratto d'usura aprirebbe potenzialmente la porta a perniciose rivendicazioni e contenziosi su contratti di credito legali che con l'usura - correttamente definita - non hanno nulla a che fare. Proviamo a pensare a quanti casi di cattivi imprenditori (effettivi e potenziali) o sconsiderati consumatori (effettivi e potenziali), non in stato di bisogno, potrebbero trovare protezione in una norma che si concentra erroneamente su un solo aspetto del contratto, allargando il fenomeno (di cui nessuno parla) della calunnia d'usura, diffuso almeno quanto - per essere prudenti, in mancanza di dati sistematici - quello della vera usura.
Vi è poi il rischio dell'inefficienza: un risultato oramai scontato e acquisito dell'analisi economica è che imporre vincoli amministrativi sul credito provoca l'inefficiente razionamento dei soggetti marginali e più deboli (cioè proprio quelli che costituiscono il bacino potenziale della domanda d'usura). Gli effetti di razionamento (e quindi l'inefficienza potenziali) saranno tanto più forti, tanto più stringenti saranno i tetti ai tassi.
L'ambiguità riguarda gli stessi fini della legge. Se un tale approccio alla lotta contro l'usura porta con se solo vantaggi nulli e costi quasi certi, quale può essere la sua ragion d'essere? Ne possiamo individuare due, entrambe eufemisticamente riconducibili alla political economy di una legge incentrata sui tetti ai tassi. In primo luogo, può essere stata una risposta alla domanda di regolamentazione anti-usura, periodicamente spinta dai fatti di cronaca, venendo però incontro alle richieste più emotive, più irresponsabili e/o meno informate. In secondo luogo può essere stata una risposta di una più generale domanda di regolamentazione dei tassi bancari, che sembra emergere sempre più di frequente nella nostra classe politica.
Questa tendenza va contrasta con decisione: il nostro Paese sta uscendo lentamente e faticosamente da un lungo periodo di lacci e laccioli amministrativi sul credito, per recuperare i ritardi di efficienza nella gestione del risparmio e del credito. La strada della competitività non conosce per definizione scorciatoie di tipo amministrativo e vincolistico; eppure si continuano a osservare tentativi più o meno goffi - ma non per questo meno perniciosi - di "calmierare" il mercato del credito.
Quindi la legge anti-usura licenziata dal passato Parlamento, che, in quanto basata sull'(erronea) equazione tasso di interesse=contratto d'usura, rischia di essere una brutta legge, soprattutto - ed è paradossale - proprio a fini di prevenire e combattere l'usura.
E' facile vedere come la politica di prevenzione può essere vanificata: prevenire l'usura significa, a parità di altre condizioni, rendere più ampi ed efficienti i bacini del credito legale, in modo da rendere sempre minore la domanda potenziale d'usura. Se si introduce una soglia d'usura per il tasso, attraverso un meccanismo per cui tale soglia può interessare le scelte delle banche, l'effetto più probabile è un aumento dei soggetti potenziali a rischio d'usura.

REPRESSIONE: PIU' MERCATO PER L'USURAIO
Difatti le banche definiscono dei contratti di credito in cui, a seconda delle caratteristiche del binomio cliente-progetto, a condizioni più onerose dovrebbero corrispondere binomi cliente-progetto più rischiosi. Se le banche funzionano bene, imponendo una soglia al livello dell'interesse pattuibile, i clienti più rischiosi subiranno una di queste - spiacevoli ma inevitabili - reazioni da parte degli intermediari: rimanere clienti bancari, ma con le altre condizioni del prestito (diverse dal tasso di interesse) più onerose, per compensare la rigidità del tasso; vedersi negare l'accesso al credito, e andare appunto a rinfoltire le schiere dei possibili clienti degli usurai.
Ma soprattutto se le banche non funzionano bene, introdurre una ulteriore rigidità nel determinare una delle condizioni del contratto, spinge gli intermediari a razionare i prenditori ritenuti più inaffidabili (famiglie con reddito medio-basso, piccole e medie imprese sottocapitalizzate, aziende operanti nelle aree più depresse e nei settori più a rischio). Vale a dire i tipici clienti degli usurai.
La politica di repressione non verrà migliorata: chiunque siano i clienti effettivi degli usurai - provenienti o meno dalla categoria sub a) dei razionati - essi hanno di fronte dei datori di fondi il cui obiettivo e i cui metodi sono diversi da quelli degli operatori bancari.
La loro finalità non è quella di disegnare un contratto per assicurarsi il rientro della somma, ma mirano ad obiettivi più ampi (la soggezione della vittima, la proprietà e/o il controllo di beni - materiali o immateriali - posti a garanzia, il riciclaggio) che possono conseguire con strumenti che solo eufemisticamente possiamo definire metodi di escussione e di rinegoziazione metaeconomici. Impedire l'esistenza e lo sviluppo di tali contratti fissando un singolo elemento (il prezzo), è evidentemente una pia illusione; purtroppo l'economia - la "scienza triste" - dà poco spazio alle illusioni, che rischiano di durare poco e di costare tanto (in questo caso in termini di efficacia ed efficienza).
Ci auguriamo di cuore di sbagliare.