di Piero Bassetti
Perché innovazione italiana? Perché nasce qui per la prima volta
nella storia politica europea la necessita' di utilizzare
strumenti politici diretti per ottenere decisioni coerenti alle
esigenze di sviluppo del sistema imprenditoriale, laddove, in
altri Paesi, sarebbe sufficiente l'azione della lobby e
l'influenza discreta che il potere economico esercita da sempre
sulle élites politiche.
E' comune a tutti i Paesi industrializzati, invece, il processo di
autonomizzazione del territorio nelle dinamiche socio-economiche e
il suo modo di porsi in senso essenzialmente strumentale. E qui
tuttavia bisognerebbe piu' precisamente parlare di ambiente
sociale, perché il territorio certo non e' solo il supporto fisico
sul quale camminiamo e costruiamo, quanto quello delle relazioni
socio-politiche che vi hanno luogo e della loro efficienza.
Come ogni vera rivoluzione comporta un rovesciamento di posizioni,
così l'intera societa' di un territorio, di una citta', di una
regione, subisce la trasformazione da "domina" del processo
produttivo a risorsa del medesimo. Questo e' cio' che e' implicito
quando, assumendo come determinanti alcuni elementi istituzionali
ancora a dimensione nazionale (come l'amministrazione della
giustizia, il sistema delle comunicazioni o dell'istruzione) si
utilizza l'espressione di "sistema-Paese".
Un concetto che non si puo' condividere in toto, per due ragioni
fondamentali. La prima e' che, almeno con riferimento al processo
di costruzione dell'Europa oggi in corso, i "sistemi" costruiti su
scala regionale sembrano assai piu' importanti rispetto a quelli
su scala nazionale. La seconda e' che in ogni caso risulta assai
difficile, e probabilmente inutile esprimere l'efficienza della
performance media nazionale, quando da un lato all'impresa
interessa il territorio in cui opera (con le sue potenzialita' di
relazione con altri territori, che spesso sono al di fuori dei
confini nazionali), e dall'altro la media esprime livelli talmente
divergenti, nelle diverse regioni del Paese, da perdere qualsiasi
senso.
Un senso che da noi rischia di scomparire del tutto, nella misura
in cui la riorganizzazione istituzionale che si prevede in Italia,
nella direzione di un maggiore decentramento regionale (che e'
ancora presto definire federalismo) potrebbe anche se speriamo
che cio' non avvenga rendere ancora piu' sensibili tali
differenze di performance, nonostante tutti gli interventi di
solidarieta' che potranno venir concepiti e posti in atto.
D'altra parte, o le entita' territoriali (citta', distretti,
regioni) sapranno diventare competitive nel significato piu' ampio
del termine, oppure, (anche laddove potranno sopravvivere, su
scala locale ridotta, condizioni ambientali favorevoli alle
imprese, soprattutto alle Pmi), sara' inevitabile l'innesco di un
processo di rapida decadenza, venendo a mancare le condizioni
esterne minime per approfittare delle innovazioni tecnologiche e
di mercato.
Nel processo di costruzione dell'unita' europea, l'apertura della
competizione fra territori (citta', regioni, distretti) e' il
meccanismo scelto dalle istituzioni europee come modalita' per
sostenere lo sviluppo economico regionale: una competizione che
mette a confronto le regioni e le citta' europee, non solo di
fronte alle scelte degli operatori economici, ma anche riguardo ai
nuovi livelli di governo meta-nazionali: per esempio in relazione
all'accesso ai fondi e ai finanziamenti comunitari, strumento per
migliorare le condizioni ambientali e infrastrutturali.
Risulta evidente, allora, l'interesse per questo tema da parte del
sistema camerale che, istituzionalmente, non solo e' promotore e
fornitore di servizi e infrastrutture alle imprese, ma anche (e
sempre di piu' con la riforma della Legge 580) punto di raccordo
istituzionale fra imprese e Pubblica Amministrazione.
E non e' neppure arbitraria la scelta di puntare sulle citta' come
focus. Nel dibattito relativo alle modalita' di costruzione
dell'Europa, al quale non puo' non agganciarsi strettamente (se
vuole essere significante) il dibattito sulla riorganizzazione
istituzionale dello Stato italiano, la nozione di Regione tende a
concentrare su di sé tutta l'attenzione, ponendosi in un certo
senso come l'entita' territoriale alternativa allo Stato.
Tuttavia, non manca la sensazione che questa enfasi abbia generato
una sorta di idolum fori, qualcosa che viene dato per presupposto
necessario, che non occorre piu' dimostrare.
A ben vedere, la storia dell'Europa, dall'anno Mille in poi, e'
assai meno storia di regioni che storia di citta'. Questo e'
particolarmente evidente in Italia e in Germania, sistemi a forte
policentrismo urbano, ma basti pensare al rapporto fra la Francia
e Parigi, o fra l'Inghilterra e Londra, per comprenderlo.
Per lo sviluppo dell'economia, della cultura, delle istituzioni
politiche, la storia della citta' e' importante come la storia
degli Stati, e certo assai piu' di quella delle regioni, che
spesso non erano altro se non l'ambito territoriale "di servizio"
delle citta' stesse. Lo Stato nazionale ha ridotto ruolo e
percezione sociale delle citta', facendone una struttura
amministrativa subalterna, in funzione di capoluogo di province
mentre il potere economico, politico, culturale tendeva a
concentrarsi nella capitale nazionale.
Ma gli eventi degli ultimi decenni, lo sviluppo dell'economia su
base cittadine e locale, la diffusione delle reti di imprese, in
tutta Europa e non solo in Italia hanno avuto l'effetto di
ricondurre alle citta' il ruolo e la funzione che avevano sempre
avuto, facendone il perno centrale in una prospettiva di crescita
della democrazia e del cambiamento istituzionale; facendone
altresì il centro dei servizi alle aziende.
Una centralita' che in questi anni e' stata bene interpretata
dalle Camere di Commercio, le quali hanno saputo dare, con le loro
reti, uno strumento di aggregazione quasi una sorta di "Comune
delle imprese" che ha corrisposto alla domanda di servizi e di
istituzioni delle imprese medesime.
Ma oggi anche questo non e' piu' sufficiente alla nuova domanda
istituzionale, non solo italiana ma europea.
Non ciè dubbio che la storia di oggi e di domani delle Camere di
Commercio e' dopo la Legge 580 sempre piu' centrata sul ruolo
di integratore di sistemi socio-economici: da quello delle imprese
e delle loro istituzioni, a quello dei consumatori e delle
comunita' economico-culturali. In una parola, un ruolo di
integratore a cavallo delle specificita' (ndr. si legga: "della
produzione e della fruizione").
Le ricerche e i commenti che pubblichiamo in questo numero della
rivista sono l'indizio di una precisa, crescente attenzione a
questo specifico ruolo. Nel merito e nei contenuti, inoltre,
dimostrano come l'esercizio di questo ruolo sia urgente e
indispensabile. Dimostrano non solo da parte delle Camere di
Commercio quanto sia elevata a Milano la necessita' di
investimento in "capitale infrastrutturale", un tema sul quale la
Camera di Commercio di Milano e' spesso intervenuta e che
considera una propria missione specifica, anche sul piano
operativo. Dimostrano come non sia possibile abbandonare solamente
alle dinamiche del libero mercato le prospettive di sviluppo di
una citta' o di un territorio, che coincidono col futuro della
comunita' di cittadini che ci vivono, e quanto sia elevata la
necessita' di una governance consapevole.
Ma soprattutto dimostrano quanto e' ancora profondo il gap
culturale, politico, istituzionale, che separa una realta'
sicuramente evoluta come Milano da altre citta' europee, talvolta
con una storia assai meno importante alle loro spalle, ma assai
piu' attrezzate per il futuro.
Un futuro nel quale sara' inevitabile un confronto sempre piu'
impegnativo nell'arena europea, che richiedera' soprattutto
strumenti di integrazione culturale e sociale, strumenti di
raccordo fra la realta' locale e quella globale, e strumenti
istituzionali-amministrativi che rendano possibile una "gestione
competitiva" della citta' condizione indispensabile della sua
rinascita.