vai al sito della Camera di Commercio di Milano
Focus

Le Camere di Commercio e la lex mercatoria

di Francesco Galgano

*Professore di diritto civile presso l'Universita' degli Studi di Bologna


Gli usi del commercio internazionale, consacrati dagli enti camerali, assurgono a fonti di diritto oggettivo non piu' statuale, bensi' sovranazionale

Delle odierne Camere di Commercio si può ben parlare come degli enti esponenziali della business community o, secondo il linguaggio classico, della societas mercatorum. Esse sono le eredi delle antiche corporazioni mercantili, cui storicamente si deve un forte contributo all’accumulazione originaria e la prima regolazione dei rapporti commerciali, attuata mediante gli statuti della mercantia, che si collocarono, insieme agli usi e, alla giurisprudenza delle curiae mercatorum, tra le fonti dell’antica lex mercatoria. Nell’epoca presente, contrassegnata dal ritorno alla autoregolazione contrattuale dei mercati e dal rilancio della lex mercatoria, detta ora "nuova lex mercatoria", le Camere di Commercio ricuperano parte significativa delle originarie funzioni. A misura che procede la globalizzazione dei mercati, le leggi degli Stati perdono la capacità di incidere sui processi economici. Il contratto e gli usi del commercio prendono il posto della legge in molti settori della vita economica, ed è significativo che la riforma del codice di procedura civile, che ha introdotto norme sull’arbitrato internazionale, imponga agli arbitri, quale che sia il diritto applicabile al merito, di tenere conto in ogni caso degli usi del commercio (art. 834, comma 2°). Acquista allora nuovo vigore la disposizione dell’art. 9 delle preleggi, che attribuisce efficacia di prova presuntiva alle raccolte ufficiali degli usi, quali sono le raccolte ordinate dalle Camere di Commercio. Ed assumono grande valenza le nuove disposizioni introdotte dalla legge n. 580 del 1993, che attribuiscono alle Camere di Commercio funzioni in materia di costituzione di commissioni arbitrali o di conciliazione e di elaborazione dei relativi regolamenti, di promozione di modelli contrattuali, di controllo sulle clausole contrattuali vessatorie. C’è una singolare coincidenza fra queste funzioni delle Camere di Commercio e i caratteri propri della nuova lex mercatoria, sulla quale dunque conviene soffermarsi.

La nuova lex mercatoria

L’espressione ha origine colta: vuole alludere alla rinascita, in epoca moderna, di un diritto altrettanto universale quanto fu universale il diritto dei mercanti dell’epoca preindustriale. Questo era stato lex mercatoria, non solo perché regolava i rapporti mercantili, ma anche e soprattutto perché era un diritto creato dai mercanti: le sue fonti erano state gli statuti delle corporazioni mercantili, elaborati dagli stessi mercanti, le consuetudini mercantili, la giurisprudenza delle curiae mercatorum, che erano tali a loro volta perché in esse sedevano mercanti. Del pari, per nuova lex mercatoria oggi si intende un diritto creato dal ceto imprenditoriale, senza la mediazione del potere legislativo degli Stati, e formato da regole destinate a disciplinare in modo uniforme, al di là delle unità politiche degli Stati, i rapporti commerciali che si instaurano entro l’unità economica dei mercati. L’antica lex mercatoria aveva preceduto l’avvento degli Stati moderni; la sua funzione era consistita nel derogare, per i rapporti commerciali, al diritto civile di allora, ossia al diritto romano, rivelatosi non più congeniale alle esigenze dei traffici. La nuova lex mercatoria opera, per contro, entro una realtà caratterizzata dalla divisione politica dei mercati in una pluralità di Stati; la sua funzione è di superare la discontinuità giuridica da questi provocata. Entro questa nuova lex mercatoria si dissolvono tanto i particolarismi giuridici delle codificazioni quanto, fenomeno ancor più significativo, le differenze fra il civil law e il common law. Della nuova lex mercatoria si è parlato come di un vero e proprio ed originario ordinamento giuridico, separato dagli ordinamenti statuali, espressione della "societas mercantile". Sono parole usate da una sentenza della Cassazione italiana (Cass., 8 febbraio 1982, n. 722, in Foro it., 1982, I, c. 2285). A questo modo gli usi del commercio internazionale vengono assunti quali veri e propri usi normativi, vere e proprie fonti di diritto oggettivo; ma di un diritto oggettivo non statuale, bensì sovranazionale. Questo ordinamento sovranazionale, aggiunge la Cassazione, non ha propri organi di coercizione; si avvale, a questi effetti, degli organi giurisdizionali degli Stati nazionali, di volta in volta competenti per territorio. Così la business community si erige a ordinamento sovrano; gli Stati nazionali ne diventano il braccio secolare. Il quadro complessivo che ne risulta presenta questa disarticolazione: da un lato una società senza Stato: la business community, retta dalla nuova lex mercatoria, che consolida la sue dimensioni planetarie, accentrando in sé le funzioni di normazione e, con le Camere Arbitrali internazionali, le funzioni di giustizia; dall’altro la moltitudine delle società nazionali, organizzate a Stato, portatrici di quegli interni interessi che non trovano rappresentanza nella societas mercatoria, ma progressivamente esautorate delle funzioni normative e di giurisdizione, oltre che di controllo dei flussi di ricchezza.

I fattori che hanno prodotto queste non statuali regole del commercio risiedono fondamentalmente:

a) nella diffusione delle pratiche contrattuali del mondo degli affari. Talvolta questa diffusione si è prodotta in modo spontaneo: molteplici modelli contrattuali, come il leasing, il factoring, il performance bond e così via, creati da operatori economici di un dato Paese, sono stati recepiti dagli operatori economici di altri Paesi, dando così vita a modelli contrattuali internazionalmente uniformi resi legittimi rispetto ai singoli diritti nazionali dal principio, vigente in ciascuno di essi, dell’autonomia contrattuale. Sotto questo aspetto, proprio la diffusione internazionale dei modelli dà ad essi una considerevole forza: ben difficilmente un giudice nazionale potrà ritenere invalido, applicando il proprio diritto nazionale, un modello contrattuale ovunque praticato e riconosciuto come valido, pena l’isolamento internazionale nel proprio Paese.

Altre volte, la diffusione è stata assecondata dalle cosiddette regole oggettive del commercio internazionale: le associazioni internazionali di categoria hanno predisposto formulari di contratti-tipo per gli imprenditori ad esse aderenti, favorendo anche da questa via le pratiche contrattuali internazionalmente uniformi;

b) negli usi del commercio internazionale, ossia nella ripetuta e uniforme osservanza di pratiche contrattuali da parte degli operatori di determinati settori imprenditoriali, nella convinzione di obbedire a regole giuridicamente vincolanti;

c) nella giurisprudenza delle Camere Arbitrali internazionali: la ratio decidendi adottata dagli arbitri per dirimere le controversie sottoposte a loro giudizio acquista il valore di un precedente cui altri arbitri successivamente aditi sono soliti uniformarsi. Si forma così un corpo di regole che gli operatori economici sono indotti ad osservare sulla previsione che, in caso di controversia, verranno applicate ai loro rapporti commerciali.

Degni di nota, sotto questo aspetto, sono i "Principi dei contratti commerciali internazionali" compilati da Unidroit alcuni anni or sono sulla scorta di una ricognizione degli usi commerciali e della giurisprudenza dominante negli arbitrati internazionali. Il riscontro della effettività di questa sorta di nuovo Digesto è nel crescente numero di lodi arbitrali internazionali che, nel risolvere controversie in applicazione della lex mercatoria, fanno testuale riferimento ai principi Unidroit, assumendoli come accreditata sua fonte di cognizione. Alla mediazione politica degli interessi in gioco, che è propria del diritto legislativamente creato dagli Stati, ben può essere sostituita, proprio come al tempo dell’antica lex mercatoria, una mediazione questa volta culturale, quale può essere effettuata anche dalle Camere di Commercio, che coordini le pratiche contrattuali con i principi generali del diritto universalmente accolti, nella ricerca del giusto punto di equilibrio fra gli opposti interessi in gioco, fra le ragioni dell’impresa e le esigenze di protezione del contraente debole e, in particolare, dei consumatori, dei subfornitori e così via, in conformità della istituzionale funzione di controllo delle Camere di Commercio sulle clausole contrattuali inique.