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Focus

Rischi e potenzialita' della terziarizzazione del lavoro a Milano
di Romano Guerinoni

Segretario CISL di Milano


Il processo di terziarizzazione rappresenta una nuova opportunita', ma anche una causa di precarieta' del lavoro, se non qualificato da specializzazione e professionalita'

Per dimostrare statisticamente quanto il lavoro a Milano si sia terziarizzato, basterebbe fare riferimento alla progressiva diminuzione dell’occupazione industriale rispetto al settore dei servizi.
Il cuore della city è ormai un’alternanza di finanza e moda mentre la periferia è presidiata dai centri commerciali, veri nuovi monasteri dove i neo pellegrini del consumo si recano settimanalmente in visita. Due immagini per rendere l’idea di come la terziarizzazione caratterizzi l’area milanese e prendere lo spunto per valutare quanto questo nuovo settore influisca sulle dinamiche sociali e di conseguenza sui rapporti di lavoro. Accanto ad una forte crescita dell’occupazione nel terziario, si registra un cambiamento nelle sue stesse componenti. Il lavoro indipendente cresce più nei servizi che nell’industria e questo è un primo dato da sottolineare. La terziarizzazione ha portato alla trasformazione della qualità e della quantità dei rapporti di lavoro. La Provincia di Milano presenta un aumento del lavoro cosiddetto “atipico” che, in percentuale, è molto più vicino alle medie europee. La crescita di contratti a tempo determinato, del part-time e di tutte le possibili forme di alternanza scuola-lavoro, dai tirocini all’apprendistato hanno modificato i comportamenti e le opportunità dei soggetti interessati. Indubbiamente le forme più flessibili di lavoro, richieste in modo più incisivo dalla terziarizzazione rispetto al tradizionale sistema industriale, rappresentano in sé un’occasione meno rigida per permettere ai giovani un primo approccio al lavoro. C’è un cambiamento culturale di chi oggi cerca lavoro, grazie ad una maggiore adattabilità a vivere più esperienze prima di trovare un definitivo indirizzo professionale. La crescita della componente femminile tra gli occupati nell’area milanese è certamente favorita dalla terziarizzazione che, consentendo forme più flessibili di lavoro, meglio coniuga per una donna il rapporto tempo-casa-lavoro. Queste potenzialità non devono essere demonizzate; occorre invece evitare due possibili rischi.

I possibili rischi della terziarizzazione

Il primo rischio di tale tendenza è quello di trasformare la flessibilità dell’avviamento al lavoro, senza giochi di parole, in una vera e propria precarietà, è necessario invece che esse rimangano opportunità che si devono poi stabilizzare, per consentire una maggiore serenità e certezza di reddito. Se, infatti, è vero che oggi i giovani restano di più in famiglia, e quindi sono più tutelati, è altrettanto vero che la società non crea indipendenza e non consente di fare scelte di vita più stabili. Una precarietà di lavoro non deve trasformarsi in precarietà nei rapporti tra le persone, come invece in quest’ottica sembrerebbe accadere. Mettere su famiglia, acquistare una casa, pensare ad un futuro per i propri figli presuppone scelte di valori ma anche un’adeguata situazione economica. Il secondo possibile rischio è di carattere professionale. Se l’offerta del mondo della terziarizzazione e dei servizi in genere non si qualifica, ma continua a sviluppare solo basse mansioni in una logica di outsourcing per ridurre i costi, sarà difficile evitare rischi di precarietà. Occorre che la formazione, da quella aziendale a quella professionale, qualifichi i lavoratori che possono così acquisire competenze e consentire alla terziarizzazione di gareggiare con l’Europa. In questo profondo capovolgimento del settore industriale a favore dei servizi, si assiste al mutamento della quantità e qualità della forza lavoro, come i dati evidenziano: il 63% di nuovi occupati sono assorbiti nel terziario contro il 36% nei settori tradizionali dell’acciaio, chimica e meccanica. Inoltre, si assiste al sorgere di nuove figure professionali nel lavoro parasubordinato. In particolare, nel terziario avanzato i lavoratori self-employed si collocano tra il lavoro autonomo e la micro-impresa. Questo processo di rinnovamento del processo produttivo di lavorazioni e di competenze può rappresentare un’opportunità, ma anche una fonte di precarizzazione se non accompagnato da percorsi reali di specializzazione e professionalità. Occorre stabilire in che misura queste nuove figure creano sul mercato occasioni di flessibilità ed innovazione del lavoro e riflettere sul rischio che ci si trovi invece di fronte ad un decentramento destinato nel tempo ad impoverire chi svolge queste mansioni. Del 24% di lavoratori autonomi della Provincia di Milano, quanti possono vantare una reale autonomia e quanti invece rischiano una subordinazione alla committenza? Questo lo spunto di riflessione.

Conclusioni

Un processo di terziarizzazione, in particolare avanzato, non può essere attuato solo nella logica italiana del “fai da te”. Occorre offrire a queste nuove figure una più adeguata legislazione in materia di lavoro, ma anche offrire opportunità formative, infrastrutture, sistemi di informazione, strumenti di analisi del mercato accessibili a chi intende operare in questo settore. Questo deve servire a spazzar via alcuni luoghi comuni. È più forte un operaio non qualificato della media impresa, soggetto a tutte le variabili della globalizzazione o un plurilaureato che si offre con un rapporto di lavoro autonomo, che può scegliere con chi collaborare e riesce a fare diverse e innovative esperienze? Questo mutamento nella caratteristica della forza lavoro contiene evidenti trasformazioni nella condizione sociale. Assieme alla scelta individuale di autonomia, di realizzazione di sé, nascono condizioni di instabilità personale legate alla incertezza nel definire la propria identità. Viene così meno la componente di identità collettiva che rende anche difficile una rappresentazione “pubblica” e visibile di questi soggetti in campo sociale. Una società avviata alla terziarizzazione deve preoccuparsi anche di queste dinamiche personali, che si riflettono inevitabilmente sulla società.