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Orario di lavoro e lavoro straordinario nell'industria
* Pubblicista esperto in contratti di lavoro. ** Avvocato in Vicenza. |
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Alcune puntualizzazioni sulle modifiche alla disciplina dell'orario di lavoro apportate dal Pacchetto Treu Il Ministero del Lavoro con circ. 28 ottobre 1997, n. 125 ha rilevato che l'art. 13 della Legge n. 196/97 (c.d. Pacchetto Treu) ha lo stesso campo di applicazione della vecchia legge sull'orario di lavoro, RDL n. 692/23, in parte abrogata o modificata. Ha precisato, inoltre, che il legislatore non ha inteso modificare la nozione di orario di lavoro, conservando, quindi, il riferimento alla nozione di lavoro effettivo, ma anche a quella del doppio parametro delle 8 ore giornaliere e, ora, delle 40 settimanali, limite massimo normale che ha sostituito il precedente limite di 48 ore. Come prima osservazione, si può affermare che, considerando il nuovo limite legale (giacché quello contrattuale è da tempo ridotto a 40 ore settimanali) di orario normale settimanale, il lavoro straordinario comincia dalla 41ma ora1, entro i limiti, a nostro avviso, fissati dall'art. 5 del RDL 15 marzo 1923, n. 692, ovvero 2 ore al giorno e 12 settimanali. Vi è chi ritiene che la novella legislativa abbia rimosso ogni limite avendo abrogato anche l'articolo di legge ora citato. Tale posizione non è condivisibile; né è condivisa dal Ministero del Lavoro ove, con la circolare n. 125, il medesimo afferma che il campo di applicazione dell'art. 13 della Legge Treu non sia estensibile all'art. 5 del RDL n. 692/23 nel quale si stabilisce che il lavoro straordinario non può superare le due ore al giorno e le dodici ore settimanali. D'altronde, non può pensarsi che una norma in armonia col precetto costituzionale (art. 36, comma 2 Cost.) - che, secondo autorevole dottrina, conterrebbe una riserva di legge con riferimento all'obbligo di introdurre un limite (legale, appunto) alla durata massima della giornata lavorativa - venga tacitamente (in quanto non si rinviene, nella legge Treu, una disposizione che abroghi espressamente l'art. 5 del RDL citato) soppressa da un successivo provvedimento legislativo con l'effetto di violare una norma di rango costituzionale2. Pertanto, non si può altrimenti concludere se non col convincimento che l'art. 5 del RDL è tuttora vigente. Le opinioni avverse affermano che la Legge Treu abbia abrogato de plano anche l'art. 1 del RDL n. 692/23, traendone la necessaria conclusione che il parametro temporale giornaliero (otto ore) sia stato espunto dall'ordinamento. Questa tesi è criticabile sotto diversi profili. Ma lasciamo ad autorevole dottrina il compito di spiegarne le ragioni. "È infatti da escludere, sostiene il Dell'Olio, intanto che si possa postulare, e forse anche attuare, come invece più o meno esplicitamente e direttamente proposto, l'abrogazione delle norme di legge che regolano la durata massima della giornata lavorativa. (…), invero la dimensione giorno rientra nel mandato del costituente al legislatore, ed anzi nella descrizione, da parte del primo, dell'ordinamento. E quindi questo non può leggersi in difformità solo perché ora è stata regolata anche un'altra dimensione, non soltanto compatibile, con conseguente esclusione anche dell'abrogazione implicita, ma espressamente prevista insieme a quella giornaliera dall'antecedente della disposizione costituzionale. Né sembra ammissibile la mera soppressione di norme rispondenti a tale funzione, apparendo allora illegittima quella abrogatrice"3. Altro discorso potrà farsi allorché la contrattazione collettiva nazionale darà attuazione alla norma che consente di "riferire l'orario normale alla durata media delle prestazioni lavorative in un periodo non superiore all'anno". In tal caso l'orario non è più né giornaliero, né settimanale, ma annuale: il massimo teorico annuale, compreso lo straordinario dovrebbe essere di 52 ore per 48 settimane e cioè di 2.496 ore l'anno (52248). L'orario normale, ossia senza lo straordinario, dovrebbe essere invece di 1.920 ore l'anno (48240): se non si supera il massimo nell'anno, non è dovuto lo straordinario, ma solo le eventuali maggiorazioni (lavoro nei giorni festivi, notturno, magg. per turno, maggiorazione ad hoc ecc.). Se ne deduce, quindi, che parametrando i "massimi" di orario all'anno, poiché non esiste di fatto un limite all'orario di lavoro giornaliero né settimanale, si potrebbe immaginare un periodo plurisettimanale di superlavoro compensato da periodi successivi di super riposo, nel rispetto del limite massimo normale o del limite "massimo dei massimi" (incluso lo straordinario) annuale. In ogni caso vi è un limite massimo di orario giornaliero, quello usurante, ovvero quello stabilito dalla direttiva UE 93/104 in 12 ore di lavoro e in 11 di riposo continuativo, ed un limite settimanale ed annuale connesso al diritto ai riposi previsti per legge. L'art. 5 bis del RDL 692/23 Passiamo ora all'esame dell'art. 5 bis del RDL n. 692/23 nella nuova formulazione introdotta dalla Legge n. 409/98. Il campo di applicazione soggettivo della norma in commento comprende esclusivamente le imprese industriali, con esclusione, pertanto, delle imprese commerciali, artigiane, agricole, del credito ed assicurative per le quali continua a trovare applicazione la normativa del 1923, modificata secondo le osservazioni dianzi indicate. Sono altresì esclusi dall'obbligo di osservare le norme in questione, i dirigenti, gli impiegati e quadri con funzioni direttive, i lavoratori adibiti a mansioni di semplice attesa e custodia, i lavoratori adibiti a lavori preparatori e complementari. Inoltre, sembra rimasta impregiudicata la nozione di lavoro effettivo della quale si dirà più oltre. A proposito dei lavori preparatori e complementari è bene precisare che l'art. 10 del Regolamento approvato con R.D. 10 settembre 1923, n. 1955, contiene una elencazione, distintamente per le industrie in generale e per quelle stagionali, dei lavori che ai fini del superamento della durata massima della giornata di lavoro, sono da considerare preparatori o complementari. Il criterio di differenziazione posto alla base dei due tipi di lavori può sintetizzarsi come segue:
Tra le lavorazioni indicate al secondo comma, lettera a), dell'art. 10 su citato vi è anche "la costruzione di impianti". L'indicazione va intesa in senso restrittivo e categorico. È pertanto da ritenere non compresa nella detta indicazione la costruzione di macchinari necessari alla produzione base o principale dello stabilimento, sia eseguita nello stesso stabilimento, sia eseguita in altri stabilimenti o da altre aziende su commesse ricevute con termini tassativi. Una diversa e più lata interpretazione, porterebbe a rendere completamente inoperante la limitazione del lavoro straordinario voluto dalla legge n. 1079/1955. D'altra parte anche l'espressione "costruzione di impianti" va interpretata quale operazione di predisposizione di locali o macchinari, tale da consentire l'avviamento, direttamente e immediatamente, di una determinata attività lavorativa: invero, solo in questo caso, la eccezione posta dall'art. 10 su ricordato appare razionale ed economicamente e socialmente ammissibile4. Una prima impressione suscitata dalla lettura del nuovo art. 5 bis, riguarda il fatto che appare invertito il ruolo della contrattazione collettiva rispetto a quello della fonte legale. È evidente, infatti, che la funzione normativa della legge è sussidiaria rispetto alla disciplina collettiva. Pertanto, i vincoli legali valgono solo qualora le materie sottoposte a tali vincoli non siano diversamente disciplinate dalla contrattazione collettiva. Ad esempio il comma 2 del cennato art. 5 bis prescrive che, in assenza di disciplina ad opera della contrattazione collettiva nazionale, "il ricorso al lavoro straordinario è ammesso previo accordo col lavoratore per un periodo non superiore a 250 ore annue e 80 trimestrali". Differentemente dalle disposizioni dettate nel testo previgente, l'articolo 5 bis novellato non contiene più un divieto espresso all'effettuazione di lavoro straordinario (si ricorda che prima dell'entrata in vigore della Legge Treu era considerato straordinario il lavoro svolto dalla 49ma ora), ma solo l'affermazione del principio finalizzato al suo "contenimento". In assenza di disciplina collettiva, alla quale il legislatore affida il compito di stabilire tetti massimi annuali o infrannuali entro i quali è ammesso il lavoro straordinario, nonché le ipotesi di fruibilità dello stesso, la legge stabilisce un limite massimo convenzionale di 250 ore annuali e 80 trimestrali. Poiché, come si è già detto, la disciplina legale, avendo portata sussidiaria, interviene solo in assenza di normazione contrattuale, è ipotizzabile, nel silenzio del c.c.n.l., che non sussista vincolo trimestrale, potendosi, con ciò, superare il limite trimestrale delle 80 ore ma non quello annuale. L'art. 5 bis, al comma 2, introduce una norma di chiusura la quale vincola la contrattazione integrativa (quindi anche aziendale) ad una diversa disciplina dei tetti massimi stabiliti dai contratti nazionali ma tale disciplina potrà prevedere solo limiti "inferiori" entro i limiti di detti tetti. Per quanto riguarda le ipotesi di lavoro straordinario previste dal terzo comma dell'art. 5 bis, la circolare ministeriale n. 10/99, chiarisce che, secondo l'espressa formulazione della norma, si tratta di ipotesi aggiuntive alle prestazioni che possono essere richieste oltre i limiti quantitativi stabiliti dalla contrattazione collettiva o, in difetto, dal secondo comma dell'art. 5 bis. Va detto, però, che la formulazione della norma citata non è di facile interpretazione in quanto apre la strada ad almeno tre ordini di problemi. Il primo concerne la questione circa l'ammissibilità del ricorso al lavoro straordinario oltre i tetti massimi quantitativi fissati dalla contrattazione collettiva o, in mancanza, dalla legge in atteggiamento suppletivo, a fronte delle ipotesi disciplinate dalle lettere a), b) e c) del comma terzo o dalla contrattazione collettiva. La circolare ministeriale sul punto non è chiara, là dove le ritiene "ulteriori ipotesi nelle quali si può ricorrere al lavoro straordinario al di là dei limiti quantitativi indicati in precedenza e fatte sempre salve le diverse previsioni della contrattazione collettiva. Si tratta cioè di fattispecie oggettive che, per loro natura, non possono essere assoggettate a limiti di orari predeterminati". In ogni caso non sembra condivisibile l'assunto secondo il quale sia ammesso il superamento dei tetti massimi contrattuali o legali nell'esecuzione di prestazioni di lavoro straordinario correlativamente alle ipotesi suddette o a quelle ulteriormente o suppletivamente previste dalla contrattazione collettiva. Anzitutto, si verrebbe a privare di ogni significato il precetto finalizzato al "contenimento" del lavoro straordinario, il quale appare come l'asse portante cui tutta la normazione deve informarsi. In secondo luogo le fattispecie "oggettive", cui è cenno nella circolare, sono già in altra norma disciplinate, solo che si ponga attenzione all'art. 7 del RDL 15/03/23, n. 692, disciplinante appunto i casi di prolungamento dell'orario di lavoro, a prescindere dai limiti, in ipotesi di forza maggiore o di danno alle persone o alla produzione; oppure all'art. 6 il quale deroga alle norme limitative del lavoro straordinario, per i lavori preparatori e complementari; per non dire poi delle ipotesi soggettive ed oggettive che sfuggono al campo di applicazione della norma in esame (dirigenti, viaggiatori piazzisti, impiegati con funzioni direttive, lavoratori domestici, lavoratori a domicilio, lavoratori discontinui). D'altro canto, se si concentra l'attenzione sul significato letterale della norma, il comma 3, con la locuzione "inoltre", si aggancia al comma precedente come per indicare, in via esemplificativa, delle fattispecie tipologiche di ammissione dello straordinario, senza, peraltro, accennare che tali fattispecie costituiscono una base causale che giustifichi il superamento dei tetti massimi quantitativi. Anche autorevole dottrina, sebbene indirettamente, si colloca su questa linea quando afferma che "nell'ambito dei limiti quantitativi di cui al nuovo art. 5 bis, secondo comma, il ricorso al lavoro straordinario è specificamente ammesso"5 e "si tratta di ipotesi aggiuntive alle prestazioni che possono essere richieste nei limiti quantitativi stabiliti dalla contrattazione collettiva"6. Peraltro, se si adottasse l'opposto avviso, oltre ad avere l'effetto di ottenere la massima liberalizzazione della gestione del lavoro straordinario, ad onta dei limiti legali imposti alle aziende non industriali che non beneficerebbero della deregulation7, la contrattazione collettiva dovrebbe lambiccarsi (e forse litigare) ad individuare ipotesi di ammissibilità di ricorso al lavoro straordinario per la fascia d'orario sotto i limiti massimi e per quella oltre i limiti, con la probabile conseguenza di snaturare la funzione dei limiti predetti, che è pur sempre quella di arginare il ricorso allo straordinario. Il secondo problema concerne l'ambito di applicazione della contrattazione collettiva. Si può notare che la formula adottata dal legislatore si palesa di portata generale, nel senso di consentire un qualsiasi intervento della contrattazione collettiva che abbia per oggetto l'individuazione delle ipotesi nelle quali è ammesso il ricorso al lavoro straordinario. Il terzo problema concerne l'imputazione del livello contrattuale delle competenze dirette alla individuazione delle suddette ipotesi. La norma sul punto appare chiara: la "diversa previsione" potrà essere formulata dal contratto collettivo, quindi da un qualsiasi contratto collettivo, fatte salve le ipotesi di cui alla lettera c) del terzo comma (fiere, mostre, ecc.) la cui individuazione, stranamente, ma probabilmente per una svista, è riservata al livello nazionale. Dalla lettura della norma si può notare una divaricazione di competenze tra la contrattazione nazionale e quella locale. È compito esclusivo della contrattazione nazionale stabilire i tetti quantitativi massimi di lavoro straordinario, entro i quali, e quindi solo in senso riduttivo, può esercitarsi la contrattazione integrativa. Per quanto riguarda l'individuazione delle ipotesi in cui può richiedersi l'espletamento di lavoro straordinario, la competenza è individuata anche nel livello territoriale, col quale, data la vicinanza delle parti contraenti alla realtà aziendale, meglio si possono governare situazioni ed ambiti specifici non altrimenti disciplinabili, tanto meno se la fonte della negoziazione è accentrata sul piano nazionale. La nuova normativa prevede l'obbligo di informazione, entro il termine di 24 ore dall'inizio delle prestazioni di lavoro straordinario, in caso di superamento delle 45 ore settimanali, alla Direzione provinciale del lavoro, Servizio ispezione del lavoro, cui spetta la vigilanza sull'osservanza delle norme contenute nel decreto stesso. Nel caso in cui la durata di detto termine coincida con un giorno festivo, ovvero una giornata non lavorativa, il termine delle 24 ore deve intendersi prorogato al successivo primo giorno lavorativo. È da precisare che, al di là della comunicazione, il regime di straordinario è determinato, come già del resto in precedenza si è avuto modo di far rilevare, dal superamento delle 40 ore settimanali. Invece, nei casi in cui i contratti riferiscono l'orario normale alla durata media delle prestazioni in un periodo plurisettimanale, i termini e le modalità per la comunicazione sono stati stabiliti dal DM 3.8.1999. Questo prevede che il termine entro cui effettuare la comunicazione è il primo giorno feriale lavorativo del mese successivo a quello della prestazione dello straordinario, se nel mese vi è stata una prestazione eccedente 20 ore complessive rispetto all'orario contrattuale. Se l'orario settimanale contrattuale eccede le 45 ore, la comunicazione va fatta quando si superano le 3 ore di straordinario nella settimana e sempre entro lo stesso termine. Allo scopo di consentire all'Organo ispettivo di espletare in modo proficuo la vigilanza ad esso demandata appare evidente che la comunicazione dovrà contenere tutti gli elementi utili che consentano, indipendentemente da una verifica "in loco", di rilevare il rispetto di quanto previsto dalla normativa; l'obbligo consisterà, quindi, nella sola indicazione del numero dei lavoratori che hanno superato la 45ma ora. In caso di comunicazioni carenti, l'Organo ispettivo potrà avvalersi dei poteri conferitigli dall'art. 4 della legge n. 628/1961, che, come è noto, gli attribuisce la facoltà di chiedere notizie concernenti l'applicazione degli istituti di legislazione sociale. Indipendentemente dalla durata delle prestazioni straordinarie effettuate ai sensi delle lettere a) e b) del comma 3 della norma in considerazione, il datore di lavoro deve dare comunicazione entro 24 ore dall'inizio di tali prestazioni, alle rappresentanze sindacali unitarie, ovvero alle rappresentanze sindacali aziendali e, in mancanza, alle associazioni territoriali di categoria aderenti alle confederazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. È da osservare che allorquando ci troviamo di fronte a prestazioni di lavoro straordinario con riguardo ad ipotesi per le quali il legislatore ha espressamente previsto la deroga, in caso di superamento della 45ma ora non è ovviamente dovuta la comunicazione alla DPL, giacché la deroga è generale e concerne quindi una limitazione del campo di applicazione dell'intero istituto. Il lavoro effettivo Una parentesi su cui riflettere va aperta sulla questione del lavoro effettivo. La normativa in vigore utilizza la nozione di "lavoro effettivo", da un lato per stabilire la durata della giornata e della settimana lavorativa8: ogni prestazione, quindi, che si estenda oltre la durata "normale" avrà rilievo giuridico riflettendosi su altri istituti (lavoro straordinario, contributo addizionale sullo straordinario, maggiorazioni retributive, ecc.). Dall'altro per escludere determinate attività lavorative dal campo di applicazione del regime vincolistico dell'orario di lavoro (lavori discontinui o di semplice attesa e custodia; cfr. art. 3 RDL; RD n. 2657/23). L'art. 3 del RDL ne dà una definizione ergonomica, più che antropocentrica, limitandosi, per l'effetto, ad ancorarla alla prestazione, esigendone "un'applicazione assidua e continuativa". Pertanto ai fini della determinazione del lavoro straordinario, tale nozione sarà utile sia con riferimento al parametro temporale della "giornata" sia a quello della "settimana". Con riguardo a quest'ultimo, non si computeranno i giorni di ferie, permesso, sciopero, ecc. Con estrema cautela andranno invece, considerate le ipotesi di assenza per malattia, infortunio e donazione sangue, fattispecie nelle quali non è ravvisabile la manifestazione del libero consenso delle parti, né la piena appropriazione del tempo libero da parte del lavoratore. La cautela si giustifica, altresì, con la considerazione della funzione dell'assenza che trovi il suo presupposto nel nesso con lo stato eziopatogenetico: ossia il ripristino dell'equilibrio psicofisico menomato dalla temporanea infermità. E dall'esistenza di una circolare Inps nella quale è espresso un diverso avviso riguardo all'obbligazione previdenziale (contributo addizionale) conseguente all'effettuazione di lavoro straordinario e nella quale si legge che la norma, come già evidenziato, parla di regime di orario settimanale che eccede le quaranta ore: è quindi escluso che, agli effetti del superamento della soglia delle quaranta ore settimanali, vadano scomputati ore e/o giorni di assenza per permessi, ferie, malattia o qualsivoglia motivo, retribuiti o meno secondo le norme di legge e le previsioni contrattuali9. Va segnalato, per completezza d'indagine, che attualmente in dottrina si discute circa l'attualità della nozione di "lavoro effettivo" dopo l'emanazione della direttiva UE n. 104/93 e l'accordo interconfederale del 12/11/97 sull'orario di lavoro e soprattutto circa la sua compatibilità con il nuovo principio della flessibilità e con l'istanza, proveniente da più parti, di un miglior rapporto tra tempo di lavoro e di non lavoro10. Le sanzioni La norma dispone che in caso di violazione delle disposizioni contenute nell'art. 5 bis RDL, si applica la sanzione amministrativa da L. 100.000 a L. 300.000 per ogni lavoratore adibito a lavoro straordinario oltre i limiti temporali e al di fuori dei casi previsti dalla legge. Il Ministero del Lavoro, con circolare n. 10/99 ha dettato disposizioni operative, anche in ordine all'applicazione del sistema sanzionatorio, non del tutto condivisibili. La circolare suddivide le violazioni secondo le diverse ipotesi:
Sono
senz'altro condivisibili le ipotesi contrassegnate dalle lettere a), b),
ed e). Destano perplessità, invece, le altre due soluzioni perché
poco aderenti alla lettera ed alla ratio della norma. Se la formulazione
adottata dal Legislatore richiama espressamente "i casi previsti dalla
presente legge" e le "disposizioni di cui al presente articolo", di contro
va evidenziato che la legge opera anche il rinvio alla disciplina collettiva,
la quale può derogare o integrare le fattispecie legali. Cosicché
i casi e le ipotesi della legge, mercé il rinvio alle fonti collettive,
diventano i casi e le ipotesi da queste ultime disciplinati11.
Ne consegue che i limiti imposti dalla contrattazione collettiva, sono
quelli "voluti" dal Legislatore avendole affidato il compito di definirne
la soglia. Non si comprenderebbe, altresì, nell'ipotesi d), per
quale ragione la violazione dovrebbe scattare solo in caso di superamento
dei limiti delle 80 o delle 250 ore e non anche allorquando le prestazioni
di lavoro straordinario vengano eseguite tout court al di fuori delle ipotesi
contrattuali, nonostante il mancato superamento dei predetti limiti. Se
l'intenzione del Legislatore, affermata in claris al comma 1 dell'art.
5 bis, è quella di contenere le prestazioni di lavoro straordinario
lasciando alla contrattazione collettiva ampia discrezionalità sia
nella scelta delle ipotesi, sia nella modificazione dei tetti massimi dettati
in via suppletiva dalla norma, appare evidente che anche l'impiego del
lavoratore in casi non previsti costituisca una violazione. Lo stesso Ministero
nella circolare in commento, quando tratta della previsione contenuta nell'art.
1, comma 3, si contraddice ritenendo sanzionabile la circostanza che il
datore di lavoro "abbia fatto eseguire il lavoro straordinario al di fuori
delle previsioni" della norma citata12. Le
sanzioni di cui sopra sono applicabili unicamente alle imprese industriali
alle quali soltanto è riferibile il novellato art. 5 bis13.
Note:
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